IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Ha emesso la seguente ordinanza.
   All'esito delle indagini preliminari il pubblico ministero chiedeva
 il  rinvio a giudizio di Teodosio Greco, Anna Maria Tella e Maria Pia
 Manzini, tra l'altro, per i reati di cui agli artt. 1,  comma  2,  n.
 2-3,  1,  comma  2,  lett.  b)  del  d.-l.  10  luglio  1992, n. 429,
 convertito nella legge 7 agosto 1982, n.  516,  come  modificata  per
 effetto   del   d.-l.   16   marzo   1991,  n.  83,  convertito,  con
 modificazioni, nella legge 15 maggio  1991,  n.  154,  reati  che  si
 assume realizzati nella qualita' di amministratori di societa' e, per
 il Greco, di amministratore di fatto.
   Risulta  dalla  documentazione  prodotta  dalla difesa nell'udienza
 preliminare che nel 1995 il  liquidatore  della  societa'  -  persona
 fisica  diversa  dai  prevenuti  -  ebbe  ad aderire alla proposta di
 accertamento con adesione formulata dall'amministrazione  finanziaria
 a mente dell'art.  3 del d.-l. 30 settembre 1994, n. 564, convertito,
 con  modificazioni, nella legge 30 novembre 1994, n. 656, provvedendo
 a corrispondere le somme richieste per ciascun  periodo  di  imposta,
 ivi compresi quelli che formano oggetto dell'imputazione.
   L'accertamento con adesione previsto dalla normativa ora citata non
 produceva,  come  ben  noto,  alcun  effetto  extratributario,  fatta
 eccezione per quanto previsto dal combinato disposto degli artt.   3,
 comma  1  e 2-bis, comma 8, in base ai quali avrebbe, secondo alcuni,
 potuto ricavarsi il venir meno dell'obbligo presidiato dalla sanzione
 prevista dall'art. 1, comma 6, della legge n. 516/1982.
   In attuazione della delega conferita dall'art. 3, comma  120  della
 legge  23  novembre  1996,  n.  662, e' stato recentemente emanato il
 d.lgs. 19 luglio 1997  con  il  quale  e'  giunto  a  definizione  un
 processo  di  revisione  organica dell'istituto dell'accertamento con
 adesione, cui ora conseguono anche effetti di ordine penale.
   Difatti, al fine di incentivare l'interesse del  contribuente  alla
 definizione  delle  pendenze  tributarie,  non  solo  e'  caduta ogni
 preclusione alla praticabilita' dell'adesione - in precedenza inibita
 dall'astratta  configurabilita'  di  alcune  fattispecie   penalmente
 rilevanti  -  ma  l'art.  2,  comma  3,  derogando  al  principio  di
 ultrattivita' dei reati tributari sancito dall'art. 20 della legge n.
 4/1929, prevede che la definizione  concordata  escluda  con  effetto
 retroattivo   la   punibilita',   limitatamente   ai   fatti  oggetto
 dell'accertamento, per i reati previsti dagli artt. 1, 2, commi  1  e
 2, 3 della legge n. 516/1982.
   In  particolare,  poi,  il  comma 6 dell'art. 2 del decreto estende
 l'applicazione dei precedenti commi anche "ai periodi d'imposta per i
 quali era applicabile la definizione ai sensi dell'art. 3  del  d.-l.
 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni, dalla legge
 30  novembre  1994,  n. 656, e dell'art. 2, comma 137, della legge 23
 dicembre 1996, n. 662".
   Secondo la prospettazione della difesa degli imputati, l'estensione
 della praticabilita' dell'accertamento con adesione anche  a  periodi
 di  imposta  definibili  secondo  l'art.  3  del  decreto-legge 564 e
 dell'art.  2, comma 137, della legge n. 662 - in  sostanza,  fino  al
 1994 - e la conseguente esplicazione dell'effetto estintivo del reato
 determinerebbe una non ragionevole disparita' di trattamento rispetto
 alla  posizione  di  quanti,  pur  avendo  aderito  alla  proposta di
 accertamento disciplinata dalle norme sopra richiamate, non  potrebbe
 beneficiare della predetta causa di non punibilita'.
   La verifica della fondatezza della richiesta della difesa impone il
 positivo   accertamento   dell'esistenza   dei  due  presupposti  che
 legittimano il giudice a sollevare incidente di costituzionalita'.
   Quanto alla rilevanza,  reputa  il  giudicante  indispensabile  una
 premessa.
   Difatti,  la  questione  prospettata  dalla difesa appare idonea ad
 incidere sulla ratio decidendi di questo giudizio a condizione che la
 non  punibilita'  del  reato  conseguente  ad  un'eventuale  sentenza
 additiva  della  Corte possa ridondare anche a vantaggio di chi, come
 gli imputati, non sarebbe stato formalmente legittimato ad  avvalersi
 della  procedura  di  accertamento con adesione in quanto privo della
 carica di amministratore della societa' o perche' cessato (Manzini  e
 Tella), ovvero per non esserlo mai stato (Greco).
   In  altri  termini,  si  tratta  di individuare i limiti soggettivi
 della causa di non punibilita' introdotta dal legislatore.
   Ritiene questo giudice che utili elementi per una  la  risposta  al
 quesito   possano   essere  desunti  dall'elaborazione  maturata  con
 riguardo all'amnistia per reati tributari introdotta  dal  d.P.R.  20
 gennaio 1992, n. 23.
   E'   noto   che   all'indomani  dell'entrata  in  vigore  di  dette
 disposizioni, si pose il problema  di  stabilire  le  condizioni  per
 l'operativita'  dell'amnistia  anche  per  i  concorrenti  nel reato,
 ovvero, a contrario, se la presentazione di  una  sola  dichiarazione
 integrativa  ex  lege,  n.  413/1991, o la definizione del periodo di
 imposta da parte di uno solo concorrente, giovasse anche agli  altri.
 Dopo  iniziali  incertezze  interpretative  si e' andato consolidando
 l'indirizzo interpretativo incline ad attribuire valenza oggettiva  a
 tale  causa  di  estinzione  del  reato,  superando  il  dato formale
 rappresentato dall'art. 182 c.p. secondo  cui  "salvo  che  la  legge
 disponga  altrimenti,  l'estinzione del reato o della pena ha effetto
 soltanto per coloro ai quali la causa di  estinzione  si  riferisce",
 indirizzo    del    resto   autorevolmente   avallato   anche   dalla
 giurisprudenza di questa Corte che, con la sentenza 19 gennaio  1995,
 n.  19  ebbe  a  dichiarare  non fondata la questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 2 del d.P.R.  20 gennaio  1992,
 n. 92.
   In particolare, prendendo le mosse dal rilevato carattere oggettivo
 dell'amnistia   -  fondato  in  sostanza  sulla  presentazione  della
 dichiarazione integrativa o della definizione del periodo di  imposta
 -  la  Corte traeva il convincimento che tale regime non autorizzasse
 "a ritenere che il legislatore (avesse: n.d.e.) voluto limitare a chi
 abbia posto in essere detti adempimenti la causa  di  estinzione  del
 reato  e  quindi  gli  effetti che, sul piano penale, conseguono alla
 definizione del rapporto tributario".
   Proprio il dedotto carattere  oggettivo  dell'amnistia  tributaria,
 alla  quale  dovevano  considerarsi  estranee  valutazioni (di natura
 soggettiva) eccedenti il mero dato consistente nell'adempimento degli
 oneri  previsti  dalla  legge,  pare  avvicinare  a  se'  sul   piano
 ontologico,  la  causa di non punibilita' prevista dall'art. 2, comma
 3, del decreto n. 218, posto che, al  di  la'  del  differente  nomen
 iuris  adottato  dal  legislatore,  non v'e' dubbio che tale rinuncia
 dell'ordinamento all'esercizio della  potesta'  punitiva  rivesta  un
 fondamento  oggettivo-formale,  correlato alla definizione concordata
 del periodo di imposta, a fini tendenzialmente deflattivi.
   Di conseguenza, non sussistono motivi per negare, quantomeno in via
 astratta, che nel campo  delle  imposte  sul  reddito  delle  persone
 giuridiche  e  dell'IVA,  la  scelta  del  legale  rappresentante  di
 societa' avvalersi dell'accertamento con adesione non sia  scevra  di
 conseguenze  favorevoli  anche nei confronti degli ex amministratori,
 ovvero di soggetti gestori ma estranei a cariche sociali.
   Diversamente opinando,  infatti,  si  finirebbe  per  precludere  a
 coloro che non fossero piu' investiti di cariche sociali di fruire di
 eventuali  deroghe  al  principio  di ultrattivita della legge penale
 tributaria in dipendenza della mera circostanza,  in  se'  penalmente
 irrilevante,   di   avere   medio  tempore  perduto  la  qualita'  di
 amministratore.
   Risolto nel senso sopra descritto il profilo della rilevanza  della
 dedotta  questione  di legittimita' costituzionale, si osserva che la
 stessa si presenta altresi' non manifestamente infondata.
   Pare innanzitutto da escludere, ad avviso di questo giudice, che la
 disposizione   in   questa   sede   sospettata   di    illegittimita'
 costituzionale  possa  consentire,  attraverso  un'interpretazione in
 bonam partem, la diretta ed immediata applicazione della causa di non
 punibilita'  prevista dall'art. 2, comma 3, a chi abbia gia' definito
 ex art.  3 del decreto-legge n. 564 precedenti periodi di imposta.
   Difatti, l'interpretazione letterale  e  sistematica  dell'art.  2,
 comma 6, sembrano precludere un simile approdo ermeneutico.
   In  primo  luogo,  la  formulazione  della  norma,  in  ossequio al
 criterio informatore dettato dalla legge delega  -  l'art.  3,  comma
 120, lett.  a) della legge n. 662/1996 - rende del tutto evidente che
 il  riferimento  ai periodi di imposta definibili a norma dell'art. 3
 del decreto-legge n. 546 e dell'art. 2, comma 137, della legge n. 662
 assolve la funzione di individuare, dilatandoli, i  limiti  temporali
 di applicabilita' della definizione concordata, sancendo una sorta di
 riapertura dei termini.
   Invero,  ad escludere che il legislatore abbia inteso semplicemente
 estendere gli effetti del "nuovo" accertamento con adesione anche  ai
 contribuenti  le  cui pendenze fossero gia' state definite secondo le
 disposizioni richiamate dall'art. 2, comma 6, militano  sia  il  dato
 oggettivo,  costituito appunto dall'utilizzo della locuzione "periodi
 di imposta" anziche' di quella, soggettiva, di "contribuenti", sia il
 tempo dell'espressione verbale utilizzata - "era applicabile"  -  che
 appare  sintomatica  della  voluntas  legis di assumere a riferimento
 periodi astrattamente   (in allora) definibili,  ma  in  realta'  mai
 definiti secondo le norme espressamente richiamate dal comma 6.
   Contro  una differente soluzione milita poi anche il non secondario
 rilievo che non sembra, ad avviso  del    giudicante,  consentito  in
 questo     caso    l'impiego    del    canone    dell'interpretazione
 costituzionalmente orientata della norma che impone, nei casi  dubbi,
 di  privilegiare l'ermeneusi piu' conforme al dettato costituzionale.
 Difatti,       l'effetto    primario    ed    immediato    scaturente
 dall'interpretazione  qui  non  condivisa  verrebbe  a coincidere con
 l'estensione surrettizia di una causa di non punibilita'  -  ritenuta
 peraltro, da parte della dottrina, di stretta  applicazione - a fatti
 penalmente rilevanti retti dal principio di ultrattivita' della legge
 penale,  la  cui  conformita'  alla  Costituzione,  quale espressione
 dell'interesse al "puntuale assolvimento degli  obblighi  tributari",
 e'  stata  ripetutamente affermata dalla Corte (sentt. 6 giugno 1974,
 n. 164, 16 gennaio 1978, n. 6, 6 marzo 1995, n. 80).
   Se le precedenti considerazioni hanno un senso, si deve  concludere
 che  la  mancata  estensione  della causa di non punibilita' prevista
 dall'art.  2,  comma  3,  anche  ai  contribuenti  che  abbiano  gia'
 provveduto  a  definire  le proprie posizioni a norma dell'art. 3 del
 decreto-legge n. 564/1994, e 2, comma 137 della legge n. 662  risulti
 in  contrasto  con  il  criterio limite della ragionevolezza, dettato
 dall'art. 3, comma primo della Costituzione.
   Invero,  pur  all'interno  di   un   quadro   di   discrezionalita'
 legislativa  funzionale  ad  agevolare,  attraverso  la previsione di
 meccanismi incentivanti, la definizione concordata delle controversie
 fiscali, non pare dubbio che al legislatore si imponga  l'obbligo  di
 riservare   un   trattamento   ingiustificatamente   differenziato  a
 situazioni sostanzialmente identiche.
   Tale principio costituzionale pare, al contrario, eluso allorquando
 si  consente  al  contribuente  di  avvalersi   della   possibilita',
 corredata  dal  premiante  effetto  estintivo  della  punibilita', di
 definire, oggi, mediante accertamento con adesione periodi  d'imposta
 fino  al  1994,  escludendo  invece dal beneficio di ordine penale le
 situazioni relative agli stessi  periodi  di  imposta  gia'  definite
 tempestivamente   pur   senza  l'incentivo  del  concorrente  effetto
 premiale di ordine penale.
   Conclusivamente,   ritiene   questo   giudicante   sussistenti    i
 presupposti  normativi  per  sollevare, aderendo alla richiesta della
 difesa, questione di legittimita' costituzionale dell'art.  2,  comma
 6, nella parte in cui non estende l'applicabilita' della causa di non
 punibilita'  prevista  dal  precedente  comma  3,  seconda  parte, ai
 periodi di imposta gia' definiti nei termini previsti dall'art. 3 del
 decreto-legge n. 564 del 1994 per contrasto con l'art.  3,  comma  1,
 della  Costituzione.    Tale  limitazione, rispetto alla formulazione
 letterale    della    fattispecie     normativa     sospettata     di
 incostituzionalita' si giustifica in considerazione del fatto che non
 viene in questione, in questa sede processuale - difettando quindi di
 rilevanza  -  l'accertamento con adesione previsto dall'art. 2, comma
 137, della legge n. 662/1996.